Pubblicato il 23 ottobre 2025 su Punti di vista sul mercato

JPMorgan frena l’euforia sull’IA: entusiasmo giustificato, ma serve cautela

L’intelligenza artificiale continua a catalizzare l’attenzione degli investitori globali. Dopo due anni di rally quasi ininterrotto, le valutazioni dei titoli legati all’AI cominciano a sollevare dubbi tra analisti e fund manager. Tra le voci più autorevoli a richiamare prudenza c’è Jamie Dimon, CEO di JPMorgan, che ha definito l’attuale situazione “una categoria di preoccupazione” per i mercati. “Quando i prezzi degli asset sono elevati, hai più spazio per cadere,” ha dichiarato Dimon. “Le aziende continuano a generare utili, ma le valutazioni e gli spread di credito sono tesi. Molti asset stanno entrando in territorio di bolla.”

Le sue parole hanno avuto un effetto immediato su Wall Street, con leggere prese di profitto sui titoli tech più esposti — Nvidia, AMD, Alphabet e Broadcom — mentre Microsoft ha chiuso la seduta in leggero rialzo, segnale che l’interesse degli investitori resta intatto.

Dalla bolla dot-com all’AI: analogie e differenze

Il confronto con la bolla delle dot-com di fine anni ’90 è inevitabile, ma secondo molti analisti il contesto attuale è più solido.
All’epoca, la maggior parte delle società tech non generava profitti. Oggi, colossi come Microsoft, Alphabet, Amazon, Nvidia e Meta contano oltre 500 miliardi di dollari di utili annui complessivi, e il ROIC del settore è passato dal 9% del 2004 a oltre il 20% nel 2025.
“I fondamentali del comparto restano robusti, ma le valutazioni sono sopra la media storica,” spiega Richard Flax, CIO di Moneyfarm. “Questo potrebbe tradursi in rendimenti più contenuti, senza però segnalare una bolla imminente.”
Flax sottolinea che le big tech hanno ampia liquidità e forte capacità di autofinanziamento, ma l’effettivo ritorno degli investimenti dipenderà dalla domanda reale. Se questa dovesse indebolirsi, il rischio è che le aziende restino con infrastrutture costose ma poco redditizie. Al momento, però, i segnali restano incoraggianti: la crescita degli utili è solida e la domanda lungo la filiera tecnologica appare sostenuta.

Il rischio bolla entra ufficialmente nel radar di Wall Street

A rafforzare l’allarme arriva l’ultima Global Fund Manager Survey di Bank of America. Per la prima volta, la maggioranza dei gestori globali (oltre 200 professionisti per 500 miliardi di dollari di asset) indica la bolla dell’AI come principale rischio sistemico a livello globale.Il report segnala inoltre che la liquidità media dei portafogli è scesa al 3,8%, vicino alla soglia “sell” del 3,7%: in passato, livelli inferiori al 4% hanno spesso anticipato fasi di eccesso di ottimismo e correzioni di mercato.
Un segnale simile arriva anche dall’indice Risk Appetite di State Street, secondo cui gli investitori istituzionali hanno aumentato per il quinto mese consecutivo l’esposizione ad asset rischiosi, raggiungendo il massimo livello di propensione al rischio del 2025. “In assenza di shock rilevanti, è improbabile che gli investitori cambino approccio a breve,” osserva Nicholas Colas, cofondatore di DataTrek Research.

Le big tech spingono sull’acceleratore

Mentre cresce l’entusiasmo degli investitori, le aziende tecnologiche continuano a reinventare i propri modelli industriali.
Google investirà 15 miliardi di dollari in India per costruire il suo più grande campus di data center fuori dagli Stati Uniti.
AMD ha siglato un accordo con Oracle per sviluppare chip dedicati all’elaborazione di modelli linguistici avanzati.
Walmart collabora con OpenAI per integrare strumenti generativi nella gestione della supply chain.

OpenAI, epicentro della rivoluzione AI, ha inoltre firmato accordi di lungo periodo con Broadcom, AMD e Nvidia per garantire la fornitura di chip, alimentando quello che alcuni analisti chiamano “ciclo di auto-investimento”: le aziende leader reinvestono parte dei profitti nel proprio ecosistema, sostenendo la crescita e gonfiando ulteriormente la domanda di infrastrutture AI.  “È un effetto moltiplicatore,” spiega Michael O’Rourke, strategist di JonesTrading. “Le big tech investono in se stesse e nei propri fornitori. È un segnale di fiducia, ma anche un potenziale campanello d’allarme: quando la domanda è spinta più dal capitale che dal consumo reale, il rischio di bolla è concreto.”

Tra euforia e razionalità

Il messaggio di Dimon e degli analisti è chiaro: l’entusiasmo per l’AI è giustificato, ma deve restare razionale. I fondamentali restano solidi, ma l’equilibrio tra innovazione e valutazioni sarà cruciale per evitare che la “nuova corsa all’oro digitale” si trasformi in un déjà-vu della bolla del 2000.


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