Pubblicato il 17 luglio 2025 su Punti di vista sul mercato

Pensione a 64 anni: ecco quanto bisogna accantonare nel fondo pensione per anticipare l’uscita

Andare in pensione a 64 anni è finalmente un obiettivo più concreto. Grazie alla Legge di Bilancio 2025, è oggi possibile sommare ai contributi versati all’INPS anche quelli accumulati in un fondo pensione, così da raggiungere i requisiti richiesti per accedere alla pensione anticipata contributiva. Si tratta di un cambio di paradigma per il sistema previdenziale italiano, che punta a rendere più integrato e flessibile l’utilizzo del secondo pilastro, offrendo nuove opportunità di uscita anticipata, soprattutto per donne, giovani e lavoratori autonomi.

Un nuovo approccio alla pensione contributiva

La pensione anticipata contributiva, introdotta nel 2012 per i lavoratori con carriera iniziata dopo il 1996, consente l’uscita a 64 anni a condizione di aver versato almeno 20 anni di contributi e di maturare un assegno pari a tre volte l’assegno sociale. La novità di quest’anno è che, per la prima volta, anche le somme versate in un fondo pensione potranno contribuire al raggiungimento della soglia minima, creando un ponte reale tra primo e secondo pilastro.

Questa apertura rende la previdenza integrativa un alleato strategico per anticipare l’uscita dal mondo del lavoro. Tuttavia, il quadro si complica con le nuove regole che entreranno in vigore dal 2030, quando l’importo richiesto salirà a 3,2 volte l’assegno sociale. Di conseguenza, chi aspira ad andare in pensione prima dei 67 anni dovrà pianificare con attenzione il proprio percorso contributivo.

Quanto bisogna accantonare?

Moneyfarm ha analizzato diversi profili di lavoratori per stimare l’accantonamento necessario. Per i dipendenti, ad esempio, un reddito netto mensile di 1.650 euro consentirebbe un’uscita a 65 anni e tre mesi per un cinquantenne, ma solo a 67 anni e due mesi per un trentenne. Se il reddito scende a 1.400 euro, l’età di pensionamento slitta ulteriormente fino a 70 anni e sei mesi. Gli autonomi sono ancora più penalizzati: a parità di reddito, versano meno contributi, e ciò può comportare ritardi fino a tre anni nella possibilità di lasciare il lavoro.

Il TFR come strumento chiave

Una delle leve principali a disposizione dei lavoratori dipendenti per colmare il gap contributivo è il TFR. Destinarlo al fondo pensione — sia quello maturando che quello già accantonato — può fare la differenza. Secondo Moneyfarm, un trentenne o trentacinquenne che investa il TFR in una linea azionaria potrebbe già da solo superare la soglia minima necessaria per l’anticipo. L’effetto moltiplicatore del TFR, in combinazione con i rendimenti composti di una linea più dinamica, si rivela quindi determinante, soprattutto se il tempo gioca a favore.

Autonomi e contributi volontari

Chi lavora in proprio, non avendo il TFR, deve invece fare affidamento su versamenti volontari. Anche in questo caso, la differenza la fa l’età di ingresso nella previdenza complementare: un trentenne autonomo dovrebbe versare 69 euro al mese (in linea azionaria), cifra che sale a 480 euro mensili per un cinquantenne che preferisca una strategia a basso rischio. Il messaggio è chiaro: prima si inizia, più bassa è la soglia mensile necessaria.

Donne, maternità e pensione anticipata

Per le donne, la sfida è doppia: carriere più discontinue e redditi spesso inferiori rendono più difficile raggiungere l’importo minimo. Proprio per questo, la legge prevede soglie più basse per le lavoratrici con figli: 2,8 volte l’assegno sociale per chi ne ha uno, 2,6 per chi ne ha due o più. Questa agevolazione, combinata con il TFR e un investimento dinamico, consente alle madri di raggiungere l’obiettivo con versamenti più sostenibili. Secondo le simulazioni Moneyfarm, una donna trentenne con due figli può riuscire nell’intento con soli 22 euro al mese, se sceglie una linea ad alto rischio.

La consulenza è fondamentale

Il quadro normativo in evoluzione e la varietà dei profili individuali rendono sempre più importante il supporto di un consulente. Come spiega Davide Cominardi di Moneyfarm, “la pianificazione previdenziale non può più essere improvvisata. Serve una visione integrata e personalizzata per capire dove si è e dove si vuole arrivare.” Con meno del 30% dei lavoratori che versa attivamente in un fondo pensione, il potenziale di crescita della previdenza complementare in Italia è ancora enorme. Comprendere i meccanismi, le opportunità e gli strumenti a disposizione diventa quindi una priorità per chi vuole costruire con consapevolezza il proprio futuro pensionistico.

Fonte: Link

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