Il ritorno di Trump mette in discussione l’indipendenza della Fed e il ruolo di Powell
La recente vittoria elettorale di Donald Trump ha suscitato interrogativi cruciali per il futuro della Federal Reserve, con particolare attenzione alla posizione attualmente occupata da Jerome Powell. Sebbene storicamente i presidenti americani abbiano sostenuto l’indipendenza della banca centrale, la relazione tra Trump e Powell è stata spesso caratterizzata da tensioni. Trump, infatti, pur avendo nominato Powell nel 2017, ha più volte espresso critiche nei confronti della gestione dei tassi di interesse, considerata troppo cauta nel favorire una rapida ripresa economica. In una recente intervista a Bloomberg Businessweek, Trump ha dichiarato che “permetterebbe a Powell di completare il suo mandato solo se le sue decisioni si rivelassero in linea con le necessità dell’economia”, sottolineando tuttavia il suo scetticismo nei confronti del governatore, che in passato ha definito “troppo influenzato dalla politica”.
Durante il suo primo mandato, Trump aveva già espresso insoddisfazione verso Powell, criticando l’atteggiamento della Fed di rallentare i tagli ai tassi di interesse in un periodo in cui l’economia necessitava di stimoli più aggressivi. Attualmente, il contesto è altrettanto delicato: la Fed, impegnata nel contrastare l’inflazione, ha recentemente effettuato un taglio di 50 punti base a settembre e si prepara a ridurre ulteriormente i tassi di 25 punti base, un’azione che potrebbe essere annunciata a breve. Tuttavia, la prospettiva di mantenere tassi elevati per stabilizzare l’inflazione si scontra con le richieste di Trump, che punta a un’ulteriore riduzione per incentivare la crescita economica.
La questione fondamentale per gli investitori è la possibilità che Trump eserciti pressioni per compromettere l’indipendenza della Fed, scenario che avrebbe rilevanti implicazioni per i mercati finanziari. Secondo un articolo del Wall Street Journal, alcuni alleati di Trump hanno avanzato proposte per limitare l’autonomia della banca centrale, ipotizzando un maggiore coinvolgimento del presidente nelle decisioni di politica monetaria. Sebbene i rappresentanti della campagna elettorale di Trump abbiano smentito l’ufficialità di tali piani, i mercati rimangono vigili di fronte alla possibilità di una Fed meno autonoma.
Powell, dal canto suo, ha costantemente ribadito che le decisioni della Fed sono basate esclusivamente sui dati economici, indipendentemente dalle pressioni politiche. Durante la sua presidenza, ha guidato la banca centrale attraverso una fase di espansione economica e successivamente durante la recessione causata dalla pandemia. Nonostante le critiche, molti analisti riconoscono i risultati raggiunti sotto la sua guida, tra cui la capacità di contenere l’inflazione senza causare una recessione significativa. Tuttavia, la fine del suo mandato, prevista per il 2026, potrebbe essere anticipata se le pressioni politiche aumentassero con il nuovo governo.
Con l’elezione di Trump, gli osservatori ricordano il periodo tra il 2018 e il 2019, quando il presidente avviò una campagna di pressione esplicita sulla Fed affinché abbassasse i tassi in modo più rapido. Trump non esitò a definire Powell un “nemico dell’economia” per non aver accelerato i tagli, arrivando persino a confrontarlo con Xi Jinping su Twitter. Powell resistette a tali pressioni, affermando che la Fed avrebbe continuato a operare in modo trasparente e oggettivo per il bene dell’economia statunitense.
I rapporti tra la Casa Bianca e la Fed, tuttavia, non sono sempre stati tranquilli. Anche in passato si sono verificati scontri tra il presidente e il capo della banca centrale, come nel 1965, quando Lyndon B. Johnson tentò di influenzare le decisioni del presidente della Fed William McChesney Martin. Tuttavia, gli economisti concordano sull’importanza di preservare l’indipendenza della banca centrale, considerata fondamentale per garantire stabilità economica e finanziaria a lungo termine.
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