Stanchi e provati
In questo momento è estenuante seguire i mercati. La volatilità è alta e la liquidità scarsa. Il flusso di notizie è imprevedibile e le prospettive macroeconomiche in deterioramento. Quel momento magico tra la fine del Covid e lo scoppio della guerra è durato troppo poco (o forse non c’è stato, dipende dai punti di vista). Non si intravede all’orizzonte un po’ di tranquillità; nelle prossime settimane ci aspettiamo notizie ancora peggiori sull’inflazione e chissà cosa succederà in Ucraina. Fortunatamente la primavera è in arrivo e almeno potremo uscire a goderci i narcisi in fiore.
Fatto
La Federal Reserve e la Bank of England questa settimana hanno fatto quello che ci aspettavamo tutti. Hanno alzato i tassi di interesse di 25 punti base. Dalle reazioni del mercato, la Fed è apparsa meno accomodante rispetto alla Bank of England. I mercati scontano quindi durante l’anno altri sei o sette rialzi dei tassi di 25 p.b. da parte della banca centrale americana e solo cinque rialzi di 25 punti dalla Bank of England. Ma cosa sa il mercato? Le decisioni di politica monetaria si baseranno sui dati e sulle notizie, in Ucraina è in corso un evento geopolitico di enorme portata che potrebbe condizionare l’andamento dei mercati e lo scenario economico del 2022 e 2023 nelle principali economie.
Piatta
Sono leggermente ossessionato dalla curva dei rendimenti e ultimamente ho scritto più volte della forma della curva e delle implicazioni dei prezzi a termine sul mercato obbligazionario. Le curve sono piatte e i mercati a termine ci fanno prevedere un picco assai moderato degli yield obbligazionari in questo ciclo. Si prevede una lieve stretta iniziale, ma la curva dei rendimenti indica che l’inflazione scenderà o la crescita rallenterà o le banche centrali non ridimensioneranno molto velocemente la propria situazione patrimoniale rivendendo le obbligazioni che hanno acquistato. Ciò significa anche che non c’è grande valore negli yield obbligazionari a lungo termine se la curva è così piatta, e le banche centrali possono ancora sorprenderci con più rialzi dei tassi rispetto al previsto.
Mercati di nuovo al rialzo
I segnali però sono positivi. Se prendiamo per esempio i bond decennali USA in un orizzonte di 2 anni abbiamo uno yield a termine dell’1,80%. Aggiungiamo un “premio per il rischio azionario” del 3,5% (la differenza media tra il rendimento dei Treasury decennali e il rendimento azionario dell’S&P500) e otteniamo un PE di 18,9. Moltiplichiamolo con la stima di consensus sull’utile per azione nel 2024 e otteniamo un livello dell’indice S&P500 superiore a 5.000. Il mercato ci sta dicendo che l’inflazione scenderà, la crescita non si deteriorerà troppo e nel giro di due anni si tornerà a una tendenza al rialzo.
10%
Non sono certo che, in questo momento, tale conclusione basti a indirizzare più capitali verso il rischio. È vero che le valutazioni sono molto più interessanti, tuttavia il flusso di notizie nel breve termine sarà problematico. A parte l’incertezza che riguarda la guerra, la preoccupazione principale resta l’inflazione. È possibile che a marzo l’inflazione salga tantissimo a seguito dell’aumento del prezzo del petrolio su scala globale dovuto all’invasione. Ho sentito parlare di un 10% su base annua per l’indice dei prezzi al consumo USA. Sarebbe incredibile poiché dovrebbe esserci una variazione mensile dell’indice del 2,6% circa. Si tratterebbe dell’aumento mensile più ampio dell’indice CPI dal 1947 (i miei dati di Refinitiv Datastream non vanno oltre). Un tasso del 9% su base annua comporterebbe il 4° aumento mensile nello stesso periodo. A marzo il prezzo della benzina negli Stati Uniti è salito del 21%: con un peso nell’indice di poco superiore al 3,7%, da solo, contribuirebbe a una variazione mensile dello 0,78%. Ma devono aumentare anche altri indicatori. Comunque è possibile, e un evento così raro del CPI sarebbe negativo per i mercati.
Stop all’inflazione?
Non si tratta solo dei dati sull’inflazione a un mese. L’inflazione deve veramente toccare il livello massimo affinché i mercati si sentano più tranquilli in merito alle prospettive dei tassi. Vero è che il mercato obbligazionario sconta un calo dell’inflazione in futuro, il tasso di breakeven per i titoli di Stato protetti dall’inflazione (TIPS) a 10 anni è del 2,94% rispetto a un tasso a 2 anni del 4,72%, ma anche i dati a pronti devono iniziare a scendere. Dovrebbe andare così. Anche se a marzo toccasse il 10% e nei mesi successivi l’indice CPI raddoppiasse rispetto alla media degli ultimi vent’anni, il tasso su base annua scenderebbe. Il rischio però è che l’inflazione nel 2023 resti intorno al 5%, troppo alto per la Fed. In tale scenario, i prezzi obbligazionari sembrano lontani dal punto in cui dovrebbero essere. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è un brusco crollo dei prezzi dell’energia, con effetti limitati sui salari e su altri costi. Forse è una pia illusione in questa fase, soprattutto se l’economia non rallentasse al di sotto delle medie.
Caffè giù, benzina su
Da una veloce ricerca su Google vediamo che il prezzo medio di un gallone di benzina negli Stati Uniti, in questo momento, è di 4,70 dollari. Presso una nota catena di caffè americano, un caffelatte “venti” costa 4,15 dollari. Praticamente, al prezzo di un caffelatte potremmo acquistare benzina per fare circa 35 chilometri. È solo per dire che, se i prezzi dell’energia restassero alti, potrebbe essere necessario tagliare qualche altra spesa. È una tendenza già iniziata. I dati sulle vendite al dettaglio di febbraio indicano un calo dello 0,4%, escludendo auto e benzina. I consumatori americani iniziano a sentirne gli effetti e ciò si ripercuoterà sulla crescita.
Ancora il credito
È complesso investire in un contesto di inflazione elevata, tassi di interesse al rialzo e rallentamento della crescita. Questa settimana ho completato il consueto riesame dei mercati obbligazionari insieme al team, abbiamo concluso che le prospettive macro sono negative per la maggior parte delle sottocategorie di investimento (ad eccezione delle obbligazioni indicizzate all’inflazione). L’unico fattore positivo è un calo dei prezzi e, come ho scritto la settimana scorsa, il credito sembra offrire più valore rispetto all’ultimo periodo. I mercati del credito in Europa e Asia mostrano più valore rispetto agli Stati Uniti, ma devono affrontare più ostacoli e probabilmente risentiranno delle pressioni al ribasso sui rating e del possibile aumento del rischio di insolvenza nei segmenti high yield. Non è quello che ci aspettiamo in questo momento, comunque è un rischio.
Rendimento sui massimi per il credito
Il rendimento del credito investment grade europeo (a livello dell’indice) in questo momento è sui massimi dal 2015 (se escludiamo l’impennata di marzo 2020 per il Covid). La situazione è analoga per l’high yield europeo, mentre per l’high yield asiatico i rendimenti sono sui massimi dalla crisi del 2008. Questo settore risente ancora molto dell’andamento delle società immobiliari cinesi (la componente immobiliare nell’indice JP Morgan Asian Credit rende il 17,4%), ma i recenti interventi politici volti a sostenere l’economia cinese potrebbero far scendere i rendimenti rispetto ai livelli straordinari attuali. Nonostante le ripercussioni globali dello shock energetico e la dipendenza dell’Asia dal petrolio russo, l’inflazione nella regione è bassa. Questo potrebbe essere un fattore positivo per i rendimenti nei mercati asiatici.
Viaggio o destinazione
Nel breve termine i mercati obbligazionari beneficiano dell’inizio del ciclo di stretta monetaria più che della semplice previsione. La Federal Reserve ha chiarito le sue intenzioni e ci aspettiamo un rialzo dei tassi in occasione dei prossimi due o tre incontri. Entro fine luglio, però, quando la Fed vedrà i dati sull’inflazione di giugno e si sarà fatta un’idea sull’andamento dell’economia nel 2° trimestre, la situazione potrebbe essere diversa. Certamente non è un anno noioso, e certamente non è un anno in cui sarà facile produrre rendimenti positivi. Ricordatevi che il momento più buio è quello prima dell’alba, e quando tutti hanno paura è il momento di comprare. Siamo già arrivati a questo momento? È impossibile saperlo, tuttavia per chi ha un orizzonte temporale di due o tre anni, sarà importante individuare quando il momento arriverà.
Festeggiamenti (di nuovo) rinviati
È un po’ che non scrivo del Manchester United. Volevo però dire due parole ora che la stagione praticamente è finita. Un po’ come per i mercati, non ci sono notizie molto positive. Fuori da tutti i tornei, la squadra rischia anche di non finire tra le prime quattro in classifica nella Premier League. Senza un allenatore fisso, giocatori insoddisfatti e malcontento nello spogliatoio, questi sono gli aspetti più preoccupanti fuori dal campo. Ma io resto ottimista e spero nella stagione 2022/2023 con un allenatore eccellente, una squadra rinnovata e rinvigorita e la possibilità di restare in gara ben oltre il 15 di marzo. Nel frattempo mi concentrerò sul cricket e sui New York Yankees!
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