Pubblicato il 17 ottobre 2025 su Punti di vista sul mercato

L’Italia seduta sull’oro: una riserva da 300 miliardi che protegge la stabilità del Paese

Mentre il prezzo dell’oro tocca nuovi record storici, l’Italia si conferma tra le grandi potenze auree del mondo. Con 2.451,9 tonnellate di riserve, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale aggiornati a marzo 2025, il Paese è terzo al mondo dopo Stati Uniti (8.133,4 tonnellate) e Germania (3.351,5).
Un patrimonio imponente che oggi vale circa 300 miliardi di dollari, pari al 13% del PIL nazionale, e che rappresenta uno dei pilastri di fiducia internazionale della Banca d’Italia.

L’oro come garanzia di solidità

Alle attuali quotazioni, il valore delle riserve italiane raggiunge un massimo storico.
“La decisione della Banca d’Italia di difendere le proprie riserve auree si rivela oggi sorprendentemente moderna”, spiega Stefano Caselli, preside della SDA Bocconi School of Management.
“Siamo tornati in un contesto in cui l’oro è di nuovo sinonimo di sicurezza.”
Secondo il World Gold Council, il 75% delle riserve ufficiali italiane è costituito da oro, una percentuale ben superiore alla media dell’Eurozona (66,5%).

Una strategia di prudenza di lungo periodo

La Banca d’Italia custodisce circa 1.100 tonnellate d’oro nei sotterranei di Palazzo Koch, a Roma, mentre un’altra quota analoga si trova negli Stati Uniti. Piccole riserve sono depositate anche nel Regno Unito e in Svizzera.
Complessivamente, l’istituto detiene oltre 870.000 monete d’oro, per un peso totale superiore a 4 tonnellate, conservate in un’area simbolicamente chiamata “la sacrestia”.

L’oro, oltre che riserva strategica, continua a sostenere l’economia reale italiana: Arezzo, Vicenza e Alessandria restano centri globali della gioielleria, con marchi come Bulgari, Buccellati e Damiani a rappresentare il made in Italy nei mercati internazionali.

Pressioni politiche e scelte di indipendenza

Con un debito pubblico superiore ai 3.000 miliardi di euro (pari al 137,4% del PIL previsto per il 2026), non sono mancate le pressioni per monetizzare parte del patrimonio aureo.
Tuttavia, la Banca d’Italia ha sempre difeso la propria linea di prudenza. “Vendere metà dell’oro non basterebbe comunque a risolvere il problema del debito italiano”, osserva Giacomo Chiorino di Banca Patrimoni Sella & C.

Secondo alcuni economisti, una vendita parziale potrebbe finanziare servizi pubblici o ridurre le tasse, ma la maggioranza degli analisti riconosce che l’oro rappresenta una riserva strategica di ultima istanza, non un asset da liquidare.

Le banche centrali tornano al metallo giallo

La corsa globale all’oro è in pieno svolgimento: nel 2025 il metallo prezioso ha superato i 4.000 dollari l’oncia, e le banche centrali stanno aumentando le riserve per ridurre la dipendenza dal dollaro.
“In un’epoca di incertezze geopolitiche e valutarie, l’oro resta il bene rifugio per eccellenza,” aggiunge Caselli. “La scelta dell’Italia di non vendere si dimostra oggi più che mai lungimirante.”

L’oro come simbolo di resilienza nazionale

L’Italia ha sempre considerato l’oro non come un investimento speculativo, ma come una garanzia di stabilità e fiducia.
Una visione conservatrice che oggi appare profetica: mentre i mercati oscillano tra crisi geopolitiche e debolezza valutaria, il Paese può contare su un patrimonio reale, tangibile e indipendente.

La prudenza italiana, spesso criticata come immobilismo, si rivela una strategia di lungimiranza: in un mondo che torna a cercare sicurezza nei beni reali, l’oro di Roma è più che mai un pilastro della stabilità economica nazionale.

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