Pubblicato il 15 maggio 2025 su Punti di vista sul mercato

ELTIF: cosa sapere prima di investire nei nuovi fondi a lungo termine

I fondi ELTIF stanno tornando sotto i riflettori. Dopo un inizio incerto, le recenti modifiche normative li hanno rilanciati sul mercato europeo. Oggi sempre più operatori guardano a questi strumenti per aprire le porte degli investimenti privati anche al pubblico retail.
Secondo un recente studio di Morningstar, però, serve ancora cautela. Vediamo perché.

Cosa sono gli ELTIF
Gli ELTIF (European Long-Term Investment Funds) sono stati creati per convogliare capitali verso progetti a lungo termine: infrastrutture, PMI, real estate. L’idea era quella di avvicinare gli investitori privati a un universo tipicamente riservato agli operatori istituzionali. Ma le regole iniziali erano troppo rigide e fino al 2021 la raccolta è stata scarsa: appena 2,4 miliardi di euro.
Le cose sono cambiate nel 2024 con l’entrata in vigore della normativa ELTIF 2.0. Le nuove regole hanno semplificato molti vincoli, rendendo più semplice l’accesso e permettendo strategie più flessibili, anche con durata teorica fino a 99 anni.

Boom di lanci, ma mercato ancora concentrato
Il numero di nuovi fondi è cresciuto rapidamente. Solo nel 2024 ne sono stati lanciati più che nei tre anni precedenti messi insieme. Sono circa 70 i gestori attivi nel segmento. Ma il mercato resta poco distribuito: Azimut domina in Italia con 21 fondi e 1,5 miliardi di masse. Segue Amundi, con 14 fondi.
I settori più rappresentati? Il private debt è il più presente nei nuovi prodotti. Aumentano anche i fondi multi-asset.

I vantaggi: più accesso e potenziale rendimento

Con gli ELTIF, gli investitori retail possono accedere ad asset solitamente riservati agli investitori professionali. La possibilità di ottenere un premio per l’illiquidità in un mercato dove le società quotate sono in calo è vista come un’opportunità. Inoltre, la struttura regolamentata offre alcune protezioni e l’investimento a lungo termine può favorire progetti a impatto.

I rischi: liquidità bassa e costi alti
Tuttavia, non mancano le ombre. I fondi ELTIF sono meno liquidi dei fondi comuni tradizionali. Anche le versioni “evergreen” consentono riscatti solo a intervalli limitati. In caso di deflussi prolungati, la componente liquida può esaurirsi, costringendo a sospendere i rimborsi.
I costi sono più elevati. Commissioni di ingresso, di gestione, di performance, e spesso anche costi accessori come revisione e custodia. Alcuni fondi applicano commissioni sui singoli investimenti (deal-by-deal), una pratica che può penalizzare l’investitore.
Anche la valutazione degli asset è problematica: i NAV sono basati su modelli interni, non su prezzi di mercato. Questo crea una volatilità “nascosta”, che può falsare gli indicatori di rischio e rendimento, come lo Sharpe Ratio.
Infine, va detto che questi fondi non hanno ancora mostrato come reagiscono in contesti di mercato veramente difficili. E con l’aumento della quota di attivi liquidi, c’è il rischio di diluire l’esposizione ai mercati privati, riducendo il beneficio atteso.

Qual è il ruolo degli ELTIF in un portafoglio?
Molti ELTIF espongono agli stessi fattori di rischio (azionario, credito) già presenti in altri strumenti. Non sono quindi una garanzia di diversificazione. Il loro valore sta nell’ampliare l’universo investibile e offrire accesso ad asset poco liquidi.
Chi sceglie un ELTIF cerca più rendimento, non meno rischio. Ma la dispersione dei risultati tra i fondi è alta, perciò la scelta del gestore è fondamentale.

Gli ELTIF sono strumenti interessanti, ma complessi. Offrono nuove opportunità agli investitori retail, ma presentano rischi che non vanno sottovalutati. Prima di investire, è fondamentale comprenderne bene i meccanismi, i costi e il ruolo all’interno di un portafoglio.


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